Di Serena Caleca
Tiziana Tardito – “RITORNO A KIEV” – Olio su tela – 90 x 90
Oggi che i nostri passi, premono la neve battuta, del Parco dove siamo cresciuti, senza voltarsi indietro per non sentire le grida e i richiami dei ricordi, e l’aria ghiacciata serra il respiro sotto gli strati di lana secca, tessuta dalle mani esperte dei nostri operai che ben conoscono il gelo di questi inverni, con le borse cariche di nulla e le famiglie al seguito affannate, lasciamo la Capitale assediata della nostra terra natìa.
Le luci del Parco, accese ancora per poco, gemono un dardeggiare di addio nello spasimo dell’ultima fluorescenza, come per supplicare un ritorno e sembrano volerci accompagnare con la carezza di una madre.
Il viale deserto, solo ieri luogo di scambio e di giochi di bimbi, appare infinito e senza scopo, i rami carichi sotto la livida neve ghiacciata, si contorcono muti in uno scenario surreale, paralizzandosi senza movimento di vita, è il silenzio del commiato.
E’ la paralisi del distacco da ciò che è più caro e indispensabile, il diritto alla vita…ma sul sentiero calpestato dai passi frettolosi della fuga, resta l’impronta del bimbo, del cane, dell’amico, come una firma nel tempo…
L’impronta di una madre che rallenta il passo per chiudere il cappotto al più piccolo…:” Svelto, chiudi la bocca altrimenti entra il freddo nel petto..!” E alla sorella più grande incalza: ” Coraggio, ci aspettano al confine, troveremo dove passare la notte”…il passo di un nonno che mormora al nipotino: “Quando ero ragazzino come te, sapessi quante corse ho fatto su per i monti e le pianure accecanti per obbedire al mio Comandante, avanti piccolo soldato, questa sera ci aspetta la zuppa!”…
Le voci rimbalzano come tonfi lanciati su un palcoscenico irreale, e presto cancellate dalla nebbia nevosa si mescolano confuse ai colpi dei bombardamenti ormai lontani nella città abbandonata, teatro di un conflitto impersonale dove l’uomo non c’è più.
La natura conserva.
Custodirà il Parco nell’attesa, piangendo le stagioni senza sguardi e stringendo la vita nella linfa sotterranea dell’amato suolo, eterna nel suo esistere e forte nella speranza, finchè non sentirà più gridare contro di essa, nè spari all’orizzonte, nè tremori di macerie…nè urla di morte.Aprirà le braccia ai suoi figli, reduci nella propria terra, abbarbicati al ricordo delle radici d’infanzia ed estrarrà il tesoro della vita custodito nel silenzio senza paura.
Ritorneremo a Kiev, sugli stessi passi lasciati sepolti nel grande Parco, per contemplare l’abbraccio infinito della sua maternità che non tradisce…
e tu sarai già un uomo. Figlio mio.