Cos’è il tempo in arte se non lo spazio concesso per uscirne fuori?
di Serena Caleca
Alla Galleria Nazionale di Arte moderna di Roma, stiamo studiando aspetti dell’Arte Contemporanea con Sabrina Marenzi, docente Upter e un gruppo classe di appassionati con carte e penna che la seguono come allievi alla scuola aristotelica di Atene con stilo e sgabello…intenti nello sforzo di comprendere il forte orientamento anticlassico della proposta di Cristiana Collu direttrice della nuova riapertura della GNAM, che riprogetta il modo non solo italiano ma ormai mondiale di concepire e meditare i tempi dell’arte, come fossero un linguaggio universale senza tempo impossibili da imprigionare in schemi e movimenti datati e databili…e allora via alla libertà espositiva dove l’occhio scorre espressioni artistiche vecchie e nuove, iconiche e aniconiche, pittoriche e tridimensionali, dritte o rovesciate, dove il solo filo conduttore è l’IDEA. L’idea, ossia la forza creatrice e discorsiva dell’uomo con le cose e la vita, l’IDEA, il dono supremo e…appunto senza tempo, che alberga da secoli la mente umana, vi dimora e la spinge a parlare di sé.
Perdendosi dietro all’innegabile esercizio di comprendere l’opera, in realtà stiamo attraversando un viaggio nella coscienza, sottoposti a stimoli impressionantemente differenti, obbligati a fare i conti con l’impostazione logico-storica del pensiero umano cui siamo abituati per anni di studi e dentro la quale, scopriamo di sentirci un po’ buffi, incartati come un capo in naftalina…
Giulia Napoleoni – “Presepe sfolgorante” – 2018 – Incisione su marmo e vetro
Distaccandomi per alcuni attimi dal gruppo, cerco di raccogliere le idee e mi soffermo davanti al grande astro sbalzato su marmo che troneggia al centro della sala d’ingresso, “PRESEPE SFOLGORANTE” di Giulia Napoleoni…resto in ascolto come un bimbo davanti al presepe, e osservo le miriadi di stelle che l’artista ha inciso sulla materia marmorea e lucente, la grafia delicata, la potenza dell’astro centrale, simbolo di quella cometa che ci da la datazione dei tempi, cerchio perfetto che da il tema all’intera opera e che…(percepisco chiaramente il messaggio) poggia sul mondo con la potenza di un annuncio che trasforma la storia, ieri come oggi; in un silenzio biblico. La cometa attraversa i millenni perforando la barriera del suono e deponendo sulla nuda terra gli umili messaggeri di tanta bellezza, fragili come un soffio di vita, trasparenti come un petalo di secondo, difronte all’eternità della creazione…
Rifuggo ancora e colgo la provocazione ideologica della esposizione, accettando di tornare bambina, difronte al piccolo ma carico di simbologia quadro di Alberto Savinio, “Souvenir d’enfance a Athènes” del ’30, attirata inconsciamente dalle tonalità soffuse e spente che ne caratterizzano l’insieme…qualcosa infatti mi trascina nei miei primi ricordi…forse l’onnipresente cornice intelaiata dai colori sabbiosi, tipica degli arredamenti dell’epoca, o l’assemblare quasi metafisico degli oggetti scelti per la rappresentazione, disposti con nostalgica casualità…linguaggio comune negli artisti della prima metà del secolo, le tonalità morbide e garbate che ci riportano alle grandi mani d’arte dell’Europa primo secolo, a cavallo fra composizione innovativa e compostezza coloristica di maniera. Qualcosa di quegli oggetti, mi appartiene profondamente, tanto quanto mi appartiene il secolo, nel quale sono nata e il senso decorativo e ordinato che ha caratterizzato il gusto delle nostre case d’infanzia.
Alberto Savinio – “Souvenir d’enfance …” – 1930
Ascoltando il docente, una frase mi colpisce fra tutte, riportata da un alto pensatore…”…se il mondo non avesse la memoria delle immagini, sarebbe ridotto ad un archivio impolverato…che nessuno si metterebbe più a leggere…”, in un istante capisco la portata universale dell’Arte e il suo ruolo affatto laterale, ma indispensabile, quanto la parola stessa, in grado di trasmettere la storia e gli archetipi impressi nella memoria…difatti, giro l’angolo e con il gruppo mi ritrovo nella sala dedicata alle opere di Chiara Bettazzi…anzi all’IDEA, di Chiara e del suo team.
Ancora una volta, l’idea, predomina con la sua forza trainante sprigionata dall’energia della innovazione, quando non della trasgressione, come nel caso di Chiara Bettazzi, che, in fronte ad un sistema economico barbaramente utilitaristico e tracimante, improntato ad una maniacale e cinica produzione di tutto, fine a se stessa, oppone e propone il recupero capillare dell’oggettistica domestica ormai in disuso. Con mano carezzevole e tremante, l’artista raccoglie, nelle zone di lavoro dove ha fondato la “Tuscan Art Industry”, qualsiasi reperto sfuggito al tempo, preferendo con particolare intento, gli oggetti domestici più rappresentativi della vita quotidiana della sua infanzia, tazzine e porcellane, pizzi, merletti e utensili di alluminio, piattini, forse un giorno usati per giocare alle bambole, unitamente ad oggetti alquanto simbolici, come ossa, reperti organici, piume, quasi fossero innalzamenti totemici, colonne celebrative sopra un cumulo di memorie di qualcosa che non c’è più, ma che il tempo ha conservato, irridendo alla morte e superandosi.
Chiara Bettazzi – Tuscan Art Industry
Questo ultimo spazio espositivo, mi pone difronte ad interrogativi che non credevo di affrontare…un senso di nostalgia ma forza al contempo, mi pervade riflettendo sulla potenza della vita che ovunque rinasce, recupera, trasforma e si rigenera, proprio come la parete introduttiva del percorso suggerisce dove trovo scritto “IL MONDO INFINE”…sì, il mondo infine non ha ancora visto alcuna fine, nella fine delle cose è il seme produttivo di un perenne rinnovamento e laddove un’ epoca, chiude i battenti con vincitori e vinti, ci pensa l’arte a raccogliere tra le macerie quello che l’anima immortale sa raccontare da sempre, trasversalmente, sotterraneamente, sfacciatamente, sulla superficie di uno spazio. Il tracciato della mano d’artista, scrive e riscrive egli stesso la storia. Niente infatti è più archivio dell’immagine racconto, niente è più biblico e storiografico della ricerca interiore dello spirito dei tempi, che parla attraverso la contemplazione della visione, e rifiuta di farsi imprigionare e decodificare, poiché la matrice stessa dell’atto creativo è “OUT OF JOINT”
Chiara Bettazzi – Particolare della mappatura della zona industriale, oggi in rovina