Quando Assuero (Serse 1°), regnava sulla Persia, il suo impero si estendeva dall’estremo oriente, fino al limite del confine geografico occidentale, delimitato da bacino del Mediterraneo; era potente, ricchissimo e il suo modo di porsi orientaleggiante, tipico del satrapo orientale, capriccioso e assolutista, non lasciava scampo di errore verso i suoi sudditi, donne” in primis”. Il valore di una donna in quella visione delle cose era relativo alla loro bellezza carnale e funzionale al decoro dell’Impero. Assuero doveva essere inoltre ben sazio di bellezze femminili e assetate di potere, esisteva infatti una specifica area del palazzo, per depositare tutte le noiose aspiranti.
Ester fu scelta per la sua bellezza, sul piano degli uomini, ma su un altro piano, il piano alto dei disegni di Dio, fu scelta perché avrebbe dovuto mettere a frutto la sua fedeltà, la sua interiore giustizia, retaggio delle sue origini giudaiche, e non ultima la sua accorta umiltà, conquistata crescendo alla luce delle scritture.
Possedeva inoltre quella sapienza femminile, che sa come muoversi dinanzi ad un pericolo incombente, che sa preparare, attendere, soffrire, pregare e incantare…Quando fu il giorno designato, con il suo sguardo incantevole e una coppa elegante tra le mani, Ester armò la sua strategia di battaglia come una grande Regina, senza uomini, legioni o armi, con il suo semplice invito al più gradevole dei banchetti…
Al banchetto organizzato dalla Regina, gli invitati erano tre…Il Male, il Potere e la Giustizia…mai battaglia fu tanto feroce e sofferta…e sappiamo come lei seppe rovesciare le sorti di quella palude senza uscita, in stupefacente celeste vittoria; quello su cui mi sono invece soffermata più volte, perché conosco bene quella sensazione di incertezza e affidamento, furono quei tre giorni di solitudine e digiuno che Ester sperimentò prima di muovere battito di ciglia e decidere la salvezza del suo popolo minacciato di genocidio dal sanguinario Aman.
In quei tre giorni di silenzio, sentendosi “Regina del Nulla” osservava tra le lacrime le carte della sua vita sugli arabeschi dei tappeti imperiali, udiva le grida del suo popolo, povero e sfruttato che non aveva altra speranza che le antiche comuni origini giudaiche, con la propria sovrana, e capiva che stava mettendo in gioco davvero tutto. Giorni di dolore, la vedevano aggirarsi nelle stanze, senza cibo, toccare il fondo, sentirsi impotente, contemplare il volto assurdo e profondo del male, consapevole di sfidare la lama di un assassino pieno di odio, potente e fuori controllo.
La grandezza della regalità di Ester è racchiusa nell’abbandono assoluto di quei tre giorni. Nel suo ruolo di Regina avrebbe potuto presumere il potere e seguire altre strade, si appoggiò invece solo a Dio, al Padre di ogni giustizia e amore, al Padre suo nei cieli, e spogliandosi innanzi a Lui di ogni suo potere le si consegnò in tutta la sua fragilità di figlia, facendosi piccola in lui. Tutto pose nelle mani di Dio, come una colomba cerca un riparo dalla tempesta, come un vivente nudo sulla terra implora il Dio degli umili e degli scacciati, come chi non ha più nulla da perdere perché ha rinunciato ad ogni appartenenza. La sua stessa corona d’oro consegnò quella notte ai piedi dell’Altissimo, suo Padre.
All’indomani, attraversando la sala del trono nel brusio dei presenti, come una cerva tra i lupi, splendida e soave, dichiarò l’inizio del banchetto della morte e si giocò la sua unica carta, la sincerità del cuore dinanzi al suo augusto sposo.
Il Re capì, le obbedì in giustizia e cominciò ad amarla nel profondo, sconvolto dalla sua incomprensibile purezza.
“Camminerai su aspidi e vipere,
schiaccerai leoni e draghi.
Lo salverò, perché a me si è affidato,
lo esalterò perché ha conosciuto il mio nome.
Mi invocherà e gli darò risposta;
………
Lo sazierò di lunghi giorni
e gli mostrerò la mia salvezza.”
Salmo 90